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La dissociazione

I- La dissociazione nel pensiero psicopatologico francese

Il concetto di dissociazione si fonda sulla maturazione di un pensiero psicopatologico in un ambito culturale ben definito, che è quello francese del secondo Ottocento, dove il riferimento speculativo è quello della crisi di un soggetto, inteso in senso cartesiano, unitario, ad alta coesione. Questo portò la psicopatologia francese, fin dagli inizi dell’Ottocento, a individuare il concetto di psicosi nella perdita di tale continuità, sottolineandone l’alterazione della logica, la formazione di un’idea dominante e il conseguente parassitismo di tutto l’appartato psichico. Dalle evidenze rilevate da Jean Martin Charcot presso l’ospedale Salpetrière di Parigi, dove assistette a fenomeni di isteria, prendono le mosse la psicanalisi e il lavoro di Sigmund Freud, che di Charcot era assistente e allievo. Freud considerò la dissociazione il meccanismo secondario presente nei quadri isterici, e cioè un’operazione mentale volta a rimuovere un’idea dalla totalità delle idee che albergano nella coscienza, dopo aver convertite nel corpo (sintomo somatico) o spostato all’esterno (fobia) “l’affetto” che la rendeva incompatibile. In linea con il pensiero psicopatologico francese, egli accolse un’idea di dissociazione come qualcosa che coinvolgeva il soggetto nel tentativo di ripristinare una precisa logica rispetto a contenuti di cui l’Io non riesce a farsi carico e che quindi diventa portante dell’opposizione tra coscienza e inconscio. Freud pur mantenendo una concezione unitaria dell’isteria, accettò la distinzione di una forma minore di dissociazione, caratterizzata da fenomeni di conversione e dai siontomi psichici più comuni, da una forma più grave, dove venivano descritti fenomeni di dissociazione psichica che, pur appartenendo saldamente al quadro dell’isteria, furono assorbiti nel gruppo delle schizofrenie.

II- La dissociazione nel pensiero psicopatologico tedesco

Il soggetto nel pensiero psicopatologico tedesco si configura come un insieme di forze coese all’interno e, quindi sul piano clinico, diventa plausibile una debolezza o addirittura punti di incrinatura di questa coesione. La dissociazione tedesca è quindi il segno di un’incrinatura nell’arcipelago del soggetto.

III – Dissociazione come organizzazione

Nell’ambito della dissociazione il concetto di organizzazione, prevede una concezione ad arcipelago del sé individuale, in linea con il pensiero psicopatologico tedesco. Sul piano delle posizioni teoriche è necessario fare riferimento a un’idea di se stessi come non lineare, che introduce all’ipotesi dell’esistenza di mutevoli e molteplici stati del sé, di differenti stati della mente e differenti costellazioni psichiche, della pluralità degli stati psichici, di stati del sé paralleli e multipli e che conduce all’idea di funzione mentale come movimento fra plurimi stati del sé. La dissociazione, al di là della natura difensiva, è un dispositivo di base della funzione della mente stessa , che permette, attraverso la modalità sia creativa, sia patologica, il mantenimento della continuità del senso di esistenza. Essa non è intrensicamente patologica e la psiche non nasce come un tutto integrato, che in seguito, come esito di un processo patologico, si scinde o si frammenta, ma al contrario, fin dall’origine non è unitaria e si struttura attraverso la molteplicità delle sue configurazioni, che con la maturazione sviluppano una coerenza e una continuità vissute come un senso coeso di identità. Per questo al dissociazione è un dispositivo basilare per il funzionamento mentale in toto ed è centrale per la stabilità e la crescita della personalità. Quindi c’è un confine netto tra dissociazione come risultato di relazioni traumatiche e dissociazione come processo strutturale/strutturante della mente. La capacità di un essere umano di vivere in modo spontaneo, autentico e consapevole dipende dalla presenza di una dialettica continua tra il senso di separatezza e unitarietà degli stati del sé, che sono parti della propria identità e che necessitano di rimanere in comunicazione reciproca. Quando sul piano evolutivo, tutto procede bene, l’individuo è solo vagamente e a tratti consapevole dell’esistenza di stati di sé individuali e delle loro rispettive realtà, perché ogni singolo aspetto funziona come parte della sana illusione di essere interi, di avere un’identità personale unitaria e uno stato cognitivo ed esperenziale, sentito come essere sé stessi. Nel corso dello sviluppo la personalità umana tende a manifestare un aumento della sua interezza, che sta ad indicare l’esperienza di sentirsi connessi agli altri in maniera sicura e creativa. L’esperienza di interezza relazionale consente di conservare, l’individualità e di abbandonarla a un altro senza il timore di perderla. Per questo è possibile sentirsi “uno in molti“, restando negli spazi dei sé multipli senza la necessità di dissociarli. La dissociazione come dispositivo rappresenta una funzione sana ed adattiva della mente, un processo di base che permette a diverse parti di noi di funzionare in modo ottimale quando ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una totale immersione in una singola realtà, in un singolo affetto forte e una sospensione della capacità autoriflessiva. Non è possibile vivere in una costante condizione di integrazione, molte delle esperienze sono vissute con modalità inconsapevoli e spesso si mostrano identità diverse in contesti diversi, che riflettono la molteplicità delle relazioni con gli altri. Operando in questo modo il dispositivo dissociativo struttura e orgnizza incosciamente la personalità, e in condizioni normali, migliora le funzioni integrative dell’IO escludendo gli stimoli in eccesso o irrilevanti; al contrario, in condizioni patologiche le naturali funzioni della dissociazione vengono mobilitate per uso difensivo.

IV- Dissociazione come difesa

Nella patologia dissociativa la dissociazione è una difesa, che si origina quando esiste una situazione insopportabile che non consente compromessi accettabili con il mondo esterno. A tutti gli stadi dello sviluppo la maturità del sé psicologico rappresenta il fattore critico nel determinare la capacità individuale di adattarsi alle sfide evolutive interne ed esterne. L’individuo ha bisogno di raggiungere una prospettiva comprensiva ed integrata, dove i sentimenti procurati dagli eventi sono concepiti come rappresentazioni mentali che sono reali e allo stesso tempo non reali. Ciò permette al soggetto di trovare una prospettiva flessibile e, di giocare con la realtà alla ricerca di un modo più confortevole di vivere con essa, grazie alla creatività. Per alcune persone essere reali nel mondo reale coincide con un’esperienza di sé troppo dolorosa. Quando un individuo non è stato messo adeguatamente nella condizione di giocare con la realtà avrà bisogno di creare inconsapevolmente stati alterati di coscienza, ovvero stati dissociativi, la cui matrice sensoriale ha lo scopo di annullare le percezioni relative alla realtà ordinaria. Le reiterazioni di questi stati a scopo difensivo fanno della dissociazione una difesa e possono, con il tempo, costruire la dinamica di base della dipendenza patologica, fino a configurare i modelli compulsivi stessi come forme comportamentali dissociative. Per questo motivo le vere dipendenze patologiche non sono mai il frutto di una scelta consapevole o una semplice ricerca del piacere, ma piuttosto esperienze dissociative transitorie che permettono al soggetto di uscire temporaneamente dalla sua realtà allo scopo di risolvere una condizione di disagio persistente, divenuta insopportabile. In altre parole, attraverso la sensorialità derivante da un’alterazione dello stato di coscienza, il soggetto riesce a mantenere un livello sufficiente di autostima, un’immagine congrua di sé e una certa sicurezza nelle situazioni sociali, ma sempre sotto un incombente sentimento di precarietà, che in parte è rimosso. La dissociazione è una difesa globale contro la presenza di un trauma o di una paura per un potenziale trauma e si presenta come una capacità ipnoide della personalità. Il suo obiettivo è la sopravvivenza, la sua tendenza invece è quella di strutturarsi come stato patologico eludendo qualsiasi forma di integrazione o cambiamento. La dissociazione è un processo inibitorio attivo che normalmente esclude dalla coscienza percezioni interne ed esterne, ed é pertanto un meccanismo di sbarramento che protegge la coscienza ordinaria dall’inondazione di un eccesso di stimoli. Negli stati dissociativi patologici, la parte scissa della coscienza, o lo stato modificato di coscienza, si comporta come un’identità mentale indipendente dalla personalità globale, che risultà incapace di esercitare qualunque controllo sulla porzione scissa. Di fronte a un’esperienza della realtà insopportabile o intollerabile, si possono determinare due manovre psichiche che spiegano i fenomeni della dipendenza. Una è il diniego, l’altra è un’attività che reca sollievo. La costruzione di un settore scisso, insita in tutte le forme di dipendenza da sostanza, da un oggetto o da un comportamento, diventa il tratto caratteristico di una separazione che comporta la ricerca di una forma di piacere o sollievo, oltre che un cambiamento degli obiettivi e dei valori personali.

Tratto da: Psicopatologia web mediata di Federico Tonioni, Springer 2013