Categorie
Articoli

Introduzione al pensiero di Otto Kernberg

Il progetto fondamentale di Kernberg è stato di riunire insieme, in modo esaustivo e autenticamente integrato, gli aspetti principali della teoria tradizionale delle pulsioni e il modello strutturale di Freud, le teorie delle relazioni oggettuali della Klein e di Fairbain e la prospettiva evolutiva della psicologia dell’IO, in particolare il lavoro della Jacobson sulle forme patologiche dell’identificazione precoce. In termini più ampi i contributi di Kernberg sono tutti collocabili, e possono essere compresi correttamente, nel contesto di un’integrazione gerarchica di tre visioni molto diverse dello sviluppo dell’esperienza umana: quella di Freud, quella della Jacobson e della Mahler e quella della Klein.

Gli aspetti generali della prospettiva evolutiva Freudiana si basano sul fatto che noi nasciamo con una serie di pulsioni a base somatica, sessuali e aggressive, che si manifestano in sequenza nel corso della prima infanzia. Queste pulsioni raggiungono l’apice nella genitalità della fase edipica, in cui gli obiettivi incestuosi e parricidi sono vissuti come estremamente pericolosi. La mente si organizza e si struttura all’unico scopo di incanalare le pulsioni pericolose in modo da massimizzare le gratificazioni che procurano, tenendone contemporaneamente nascoste e/o deviandone le intenzioni antisociali.

Edith Jacobson, consolidando i contributi di molti autori della psicologia dell’IO, tra cui Marharet Mahler, sostenne che la nostra nascita psicologica non corrisponde con la nascita fisica. Un senso di identità individuale distinto e affidabile emerge soltanto gradualmente nel corso dei primi diciotto mesi di vita, a partire da una precedente modalità di esistenza in cui non c’é senso di sé indipendente, ma piuttosto una fusione simbiotica con la madre, così come l’ha concettualizzata la Mahler. La Jacobson era convinta che per un lungo periodo di tempo le capacità cognitive e le risorse fisiche della madre vengano vissute come se si trovassero all’interno del confin i del Sé del bambino. Soltanto gradualmente si articola un sé separato, nel corso del processo di separazione-individuazione, man mano che le capacità dell’IO del bambino maturano e si evolvono, rendendo possibile la differenziazione psicologica dalla madre.

Nella visione di Melanie Klein di quella che è l’essenza dell’esperienza umana, tutti noi nasciamo con due modalità potenti e primitive di entrare in relazione con il mondo: un amore adorante, fatto di profonda attenzione e gratitudine, e un odio orribilmente distruttivo, intensamente invidioso e sprezzante. Il nostro amore crea la possibilità di relazioni di cura e riparazione con altri vissuti come buoni e nutrienti; il nostro odio crea relazioni aggressive e reciprocamente distruttive con altri vissuti malvagi e pericolosi. Tutti gli esseri umani, per tutta la vita, dai primi mesi fino alla morte, lottano per conciliare queste due modalità di esperienza, per proteggere le esperienze buone, di amore, dai sentimenti di odio, distruttivi, per riavvicinare le polarità affettive all’interno delle quali agiscono.

Pur condividendo un terreno comune, Freud, la Jacobson e la Klein propongono ciascuno una visione molto particolare della psiche, delle sue origini, della sua natura, delle sue tensioni. Senza preoccuparsi dei confini teorici, Kernberg avvertì la potenziale complementarietà di queste visioni diverse, e ne accostò i contributi relativi alla patologia delle relazioni oggettuali interiorizzate, un aspetto che considerava di particolare importanza per comprendere i disturbi gravi di personalità. In qualche misura Kernberg, pose questi tre modelli gerarchicaente uno sopra l’altro, creando così una struttura elaborata e complessa per comnprendere lo sviluppo emotivo e il conflitto psicologico e per situare la psicopatologia a seconda del grado di gravità.

IL MODELLO EVOLUTIVO

In accordo con la Jacobson e la Mahler, Kernberg immagina che il bambino nei primi mesi di vita selezioni l’esperienza sulla base della sua valenza affettiva, e dunque si sposti avanti e indietro tra due stati affettivi di natura notevolmente diversa: stati piacevoli di gratificazione e stati spiacevoli, dolorosi, di frustrazione. In entrambe le condizioni non c’è distinzione tra il Sé e l’altro, tra il bambino e la madre. Nella prima situazione il bambino soddisfatto si sente fuso con un ambiente gratificante, che da piacere; nell’altra il bambino frustrato e pieno di tensioni si sente intrappolato in un ambiente doloroso e non gratificante.

Il primo compito evolutivo importante, nello schema di Kernberg, consiste nel chiarimento psichico di ciò che è Sé e ciò che è altro (la separazione delle immagini del Sé dalle immagini oggettuali). Se questo non si realizza, non può emergere un senso del Sé come entità separata e distinta, non può svilupparsi un confine affidabile tra l’interno e l’esterno, né una chiara distinzione tra la propria esperienza personale, la propria mente, e l’esperienz a ela mente altrui. Il fallimento nel realizzare questo primo compito evolutivo fondamentale è il precursore cruciale e decisivo degli stati psicotici. Tutti i sistemi schizzofrenici – allucinazioni, deliri, frammentazione psichica – derivano dal fondamentale fallimento nella differenziazione tra le immagini del Sé e quelle deggli oggetti.

Il secondo compito evolutivo fondamentale è il superamento della scissione. Dopo che le immagini del Sé e dell’oggetto sono state differenziate, rimangono affettivamente separate: le immagini del Sé buone e piene d’amore e le immagini oggettuali buone e gratificanti sono tenute insieme da affetti positivi (libidici) e sono separate dalle immagini del Sé cattive e piene di odio e dalle immagini oggettuali cattive e frustranti, che a loro volta sono tenute insieme da affetti negativi (aggressivi). Tale scissione, normale dal punto di vista evolutivo, viene superata quando il bambino si forma la capacità di vivere “oggetti interi”, che sono sia buoni che cattivi, sia gratificanti sia frustranti. Contemporaneamente all’integrazione delle immagini oggettuali avviene l’integrazione delle immagini del Sé; ora il Sé è vissuto come entità intera, sia buona sia cattiva, capace di amare e odiare. Tale integrazione consente l’integrazione concomitante delle disposizioni pulsionali di base. Poiché i sentimenti buoni e cattivi sono combinati, la grande intensità dell’amore e dell’odio ne risulta temperata. Il fallimento nel realizzare questo secondo compito evolutivo esita nella patologia bordeline. A differenza di quella psicotica, la personalità borderline è evolutivamente in grado di distinguere tra le immagini del Sé e degli altri, ma si ritira difensivamente dalla capacità di intrecciare insieme gli affetti e le relazioni oggettuali buone e cattive.

In questo modo Kernberg definì tappe evolutive corrispondenti a livelli diversi di psicopatologia. Sul primo gradino si trovano diversi tipi di psicosi, persone che non sono state in grado di realizzare il primo compito evolutivo fondamentale (come lo descrive la Jacobson): la definizione di confini chiari tra il Sé e gli altri. Sul secondo ci sono diversi tipi di personalità borderline, vale a dire persone che vivono in modo chiaro i confinio tra sé e gli altri, ma che non sono state in grado di realizzare il secondo compito evolutivo fondamentale (come lo descrive la Klein): l’integrazione dei sentimenti di amore e di odio in una relazione più piena e ambivalente con gli altri. La teoria Freudiana classica della nevrosi come conflitto strutturale rappresenta il terzo gradino di Kernberg e si riferisce alle psicopatolgie con uno sviluppo di personalità di livello superiore, in cui i confini del Sé e l’oggetto sono intatti e le immagini del Sé e quelle oggettuali sono integrate.

Nel sistema di Kernberg inzialmente non ci sono pulsioni. Nel corso del primo sviluppo gli stati affettivi positivi e negativi diffusi del bambino si consolidano e assumono la forma di pulsioni libidiche e aggressive. Le interazioni con altri gratificanti vissute soggettivamente come buone, piacevoli e soddisfacenti, nel corso del tempo si consolidano in una pulsione rivolta al piacere (libidica). Analogamente, le esperienze con altri non gratificanti, vissute soggettivamente come negative, spiacevoli e insoddisfacenti, nel corso del tempo si consolidano nella pulsione distruttiva (aggressiva). Il bambino vuole massimizzare le esperienze piacevoli con gli oggetti buoni e distruggere gli oggetti cattivi che producono esperienze spiacevoli.

Nella descrizione di Kernberg, come in quella di Freud, le forze libidiche e aggressive che emergono dagli intensi stati affettivi che dominano le prime relazioni oggettuali sono a loro volta conflittuali. Le pulsioni libidiche, infuse di mete sessuali infantili, vengono vissute come potenzialmente antisociali e pericolose. Le pulsioni aggressive sono pericolose (una volta che la scissione è stata superata) perché sono dirette verso gli stessi oggetti che sono anche amati. Il terzo gradino della gerarchia evolutiva della psicopatologia dunque, per Kenberg è la nevrosi. Gli individui che hanno realizzato la separazione tra il Sé e gli altri e superato la scissione, sono quelli che vivono il conflitto nevrotico tra pulsioni e difese che costituiva la teoria freudiana classica della psicopatologia.

Kernberg, d’accordo con la Jacobson, ampliò e approfondì la teoria pulsionale di Freud facendo derivare le pulsioni da una complessa sequenza evolutiva centrata sulle prime relazioni oggettuali. Per Freud le pulsioni sono date, innate; per Kernberg dipendono ancora da predisposizioni costituzionali, ma alla fine si formano nell’interazione con gli altri, e dunque si costruiscono evolutivamente. Kernberg sovrappone le due teorie.

Scavando ed erigendo nuove impalcature al di sotto della teoria pulsionale classica, Kernberg riuscì a conservare la visione fondamentale freudiana della nevrosi come prodotto del conflitto pulsionalee, nello stesso tempo, a impiegare la teoria kleiniana, le teorie delle relazioni oggettuali e la psicologia dell’IO nella comprensione dei disturbi psicologici più gravi.

Tratto da “L’ esperienza della psicoanalisi” di Stephen A. Mitchell e Margaret J. Black, Bollati Boringhieri